CRISI DELLA POLITICA E PRESENZA DEI CATTOLICI

Con il crollo della D.C. si è registrata la fine dell’unità politica dei cattolici, di una presenza che ha segnato profondamente nel bene e nel male la storia del nostro paese. Non è qui il luogo per indagare le ragioni di una dissoluzione, determinata da un lato dal fenomeno della corruzione e dall’altro dal processo di secolarizzazione che ha investito la nostra società, cancellandone la memoria religiosa. Tuttavia appare evidente che al declino del cattolicesimo politico si è accompagnata una crescita progressiva della disaffezione dei cittadini verso i problemi della collettività.
La crisi della politica si configura sempre più come crisi etico-ideale con la conseguenza che la gestione della cosa pubblica è divenuta dominio riservato di un’oligarchia, che riproduce se stessa attraverso i meccanismi della cooptazione, organicamente legata, in forme più o meno mediate, agli interessi dei poteri economico-finanziari. Inoltre siamo di fronte ad una deriva demagogico-autoritaria della democrazia, mediante l’alterazione delle regole del gioco e la manipolazione dell’opinione pubblica attraverso i mezzi di comunicazione di massa. C’è senza alcun dubbio da questo punto di vista un’anomalia italiana rispetto alle grandi democrazie occidentali che non può non destare preoccupazione.
Tale scenario interpella in termini ineludibili la coscienza dei credenti.
Oggi troviamo cattolici in tutte le formazioni politiche ed è una presenza che si fa sentire con forza in alcune circostanze. C’è una posizione comune trasversale agli schieramenti nel campo della bioetica che incide efficacemente sulla legiferazione e che è determinata in ultima istanza dal legame stabilmente ancillare con certa gerarchia ecclesiastica di quei politici cosiddetti cattolici per lo più provenienti da aggregazioni laicali caratterizzatesi sempre più nel corso dei decenni come stabili clientes dei governi di turno. Per dirla in termini semplificatori: la laicità della politica come autonomia del credente nelle scelte che attengono alla città dell’uomo è sacrificata sull’altare di un’appartenenza e di un’obbedienza cieca che lasciano perplessi in ordine al futuro del laicato cattolico, sempre più minoranza attestata su posizioni conservatrici se non retrograde e irreversibilmente avviata sulla strada di quel clericalismo che nel corso dei secoli ha nuociuto gravemente alla credibilità della Chiesa.
Nell’assenza di un’azione politica che sia in grado di inscrivere dentro l’orizzonte del “qui e ora” la forza sovversiva della speranza cristiana e in seguito al tramonto delle grandi suggestione utopiche fiorite sul ceppo marxista, non resta che il disincanto, la presa d’atto della inutilità di ogni forma di impegno politico. Non resta che l’orizzonte angusto, nella migliore delle ipotesi, di un progetto che miri unicamente alla correzione delle storture più intollerabili del meccanismo della accumulazione e distribuzione capitalistica (Bisognerebbe forse recuperare la dimensione etica che ha ispirato il Capitale di Karl Marx nelle sue analisi sul lavoro come grido e indignazione per lo sfruttamento dell’essere umano): è il riformismo che residua dal naufragio del sogno comunista e che si sposa con i cascami del progressismo cattolico.
Non c’è dunque nessun obiettivo di grande respiro ideale per cui appassionarsi e spendere la propria vita, senza tornaconti personali. La politica diventa appannaggio dei faccendieri e dei poteri forti interessati a rafforzare e puntellare il sistema del profitto e del privilegio. E in questo deserto la fanno da padroni coloro che sono bravi nel solleticare e assecondare le pulsioni istintuali di chi vede messi in discussione dalla crisi complessiva (economica, sociale, demografica etc.) che investe l’occidente la propria sicurezza e il proprio benessere materiale, di cui il cristianesimo piccolo-borghese di tanti praticanti sembra essere la cifra più significativa ed eticamente presentabile. E’ un quadro desolante quello con cui siamo chiamati a confrontarci e che viene ulteriormente reso più disperante da una presenza cristiana nel mondo della politica che si fa portatrice, talora per basse convenienze personali (un posto in parlamento e nel governo), delle istanze di quei settori della gerarchia ecclesiastica che stanno lavorando alacremente per riproporre l’alleanza perversa tra trono ed altare e un modello gerarchico di Chiesa quale istituzione potente, unica interprete autorizzata dei “principi immutabili della legge naturale”. I tempi dunque sono difficili e richiedono un supplemento di denuncia profetica e di elaborazione progettuale alternativa da parte di quei credenti ancora convinti che l’impegno per la liberazione politica e la costruzione di un mondo più giusto è già opera salvifica, poiché “la salvezza di Cristo è una liberazione radicale da ogni miseria, da ogni sfruttamento, da ogni alienazione” (Gustavo Gutierrez).
AMEDEO GUERRIERE

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