“POTRA’ COSTARCI LA VITA, MA NOI RISORGEREMO”


Matthias Grünewald, La Resurrezione


Sono due le questioni che, ora, ci interessano. Ora: in riferimento al tempo pasquale che stiamo vivendo poiché, nostro malgrado, i riti liturgici che ci sono stati proposti a partire dalla settimana santa li abbiamo celebrati, come ogni anno, in quanto il fatto della risurrezione di Cristo si è verificato e ritorna ancora a scavare nelle coscienze, anche di chi partecipa passivamente al memoriale come spettatore disattento ed annoiato. Perlomeno si ascolta nuovamente il racconto della risurrezione, che si conosce già a memoria, si riflette sull’evento “miracoloso” della scomparsa del Cristo dalla tomba e delle sue riapparizioni fugaci, qua e là, e ci si sente un po’ tutti più sollevati dal pensiero della morte, dal momento che “qualcuno”, è stato dimostrato, è riuscito ad averla vinta su di essa.
Però, dicevo, due sono le questioni che ora ci interessano: ricercare il senso della risurrezione di Gesù, giacché non pare che sia stata ancora ben compresa; sottolineare la ripercussione di tale risurrezione qui e ora, affinché abbia inizio quel necessario processo di “messa in discussione” di una mentalità bigotta che dà tutto un po’ per scontato in materia di fede. Tanto per smantellare qualche brandello di falsa o incompleta interpretazione diciamo subito con J. Sobrino: “ciò che dev’essere chiaro è che Gesù non finì la sua vita ‘compiuti i suoi anni’, ma come una ‘vittima’, e che la risurrezione non è consistita nel riportare in vita un cadavere, ma nel rendere giustizia ad una vittima. Allora l’affermazione centrale è che ‘il Risuscitato è il Crocifisso’…Non è stato risuscitato uno qualsiasi, ma Gesù di Nazaret: colui che annunciò il Regno di Dio ai poveri e li difese, colui che denunciò e smascherò gli oppressori, e perciò venne perseguitato, condannato a morte e giustiziato, e colui che in tutto ciò mantenne la sua fiducia in Dio che è Padre e la sua disponibilità alla volontà del Padre, che sempre gli si palesò come Dio, ineffabile e non manipolabile.”
Né dobbiamo evitare di sottolineare, come ci ha ben ricordato A. Torres Queiruga un po' di tempo fa, qui a Lanciano, che a condannare Gesù fu la “Chiesa” ufficiale del tempo, il Sinedrio, nella persona della sua massima autorità, il sommo sacerdote! Allora la risurrezione di Gesù non può non far venire in luce la croce alla quale fu inchiodato con un regolare processo: ed è chiaro agli occhi di chiunque che si trattò di una condanna ingiusta, tipica di ogni regime oppressivo-dittatoriale. Abbiamo, dunque, una vittima in croce; abbiamo una vittima che, però (At 2,24), Dio ha risuscitato. Allora vivere diventa sperare: innanzitutto speranza per ogni vittima della terra (J. Sobrino), che ci sarà, cioè, il riscatto da ogni ingiustizia e da ogni morte imposta.
La risurrezione di Cristo Crocifisso non può essere intesa semplicisticamente solo come “sopravvivenza” definitiva dell’essere umano, solo come vittoria sulla “morte naturale”; ben più incisiva è la speranza che essa è capace di suscitare, poiché speranza di superamento della morte ingiustamente inflitta a tutti i popoli crocifissi: “ciò che conferisce un tratto nuovo e scandaloso al messaggio cristiano della pasqua non è il fatto che un certo individuo sia risuscitato precedendo tutti gli altri, ma che a risorgere dai morti sia stato proprio costui: il condannato, l’appeso a un legno, l’abbandonato” (Moltman).
Ma la risurrezione di Gesù diviene concretamente il luogo della speranza nella misura in cui viviamo “già” come “risorti nella storia” (I. Ellacuría): e non è un fatto ovvio! Non è affatto ovvio che il cristiano viva già da risuscitato, che sappia mostrare i segni della libertà che fa andare incontro alla vita, nella sequela di Cristo liberatore, per tirare giù dalla croce, senza timore, tutti i crocifissi che attendono la realizzazione della buona novella, dell’inizio di quel Regno d’amore annunciato con il dono della propria vita dal “primogenito di morti”.
P. Casaldáliga ci aiuta a comprendere che: “nessuno può professare onestamente la propria fede in un’altra vita, risorta, se non professa verità, giustizia e libertà in questa vita, all’interno del convulso tempo della nostra caducità…Poiché risorgerò, debbo a poco a poco risorgere e provocare risurrezione…Il peggiore servizio che possiamo fare alla fede nella vita-risurrezione, che ci sarà data, è disinteressarci irresponsabilmente di questa vita militanza che ci è affidata. A ogni atto di fede nella risurrezione deve corrispondere un atto di giustizia, di servizio, di solidarietà, di amore”.
(per approfondimenti sul tema vedi: Concilium, Rivista internazionale di teologia, 5/2006)


Maria Concetta Bomba ocds


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