Privato e pubblico in politica, la foglia di fico...

Nonostante la censura più o meno sottile dei mass media, la questione morale è oggi nuovamente al centro del dibattito pubblico. Non si tratta di cedere alla tentazione del moralismo o di lasciarsi sedurre dal fascino perverso del pettegolezzo, ma di riflettere su eventi che non possono essere passati sotto silenzio se si è convinti che è doveroso esigere dalla classe dirigente un’esemplarità morale anche sul piano dei comportamenti individuali. La distinzione tra privato e pubblico nel caso di uomini di governo è una distinzione non sempre possibile e talvolta nemmeno auspicabile. E’ evidente che qui ci si riferisce alle recenti vicende che hanno visto coinvolto il presidente del Consiglio, vicende su cui non si è ancora fatta piena luce e che molti continuano a sottovalutare, se non ad ignorare, per ragioni di opportunità politica. Certo in altre nazioni un capo di governo toccato da uno scandalo di tali proporzioni avrebbe già rassegnato le dimissioni e l’indignazione dell’opinione pubblica sarebbe stata di ben altro tenore rispetto a quella italiana, opinione, a dire il vero, eterodiretta, cioè abilmente manipolata, mediante un’accurata selezione delle notizie, dai padroni incontrastati della televisione pubblica e privata.
In questo contesto, tuttavia, ciò che sconcerta è che tanti politici “cattolici”, saliti da tempo con grande lungimiranza sul carro del vincitore, si siano attestati su posizioni di strenua difesa del Presidente del Consiglio, con l’unico fine di salvaguardare gli ampi spazi di potere conquistati nell’epoca del “trionfo delle libertà”. Altro che identità cristiana! Altro che sussidarietà! Altro che meno stato più società! Altro che sostegno alla famiglia e tutela della vita! E’ la difesa della poltrone ciò che sta realmente a cuore a tali ardenti paladini delle radici cristiane della nostra società!
Occorre che il mondo cattolico faccia sentire finalmente la sua voce con coraggio senza compromessi opportunistici e prudenze diplomatiche di stampo curiale.
Per essere più precisi quello che ci deve interessare non è innanzitutto l’accertamento della rilevanza penale dei comportamenti del presidente del Consiglio, ma un chiaro giudizio critico, che finora non c’è stato, sul modello di vita di cui egli costituisce oggi l’espressione più significativa, in cui i “valori” che contano sono quelli del denaro, del successo, dell’eterna giovinezza, della bellezza fisica, della competizione, dell’economia di mercato senza regole, del lusso, dell’ostentazione impudica della ricchezza.
Dovremmo come discepoli di Gesù essere colti da sacro furore di fronte alla dissoluzione del tessuto etico-valoriale della nostra società, con il conseguente prevalere della logica del profitto e del potere, dell’edonismo, della xenofobia, della funzionalizzazione politica della religione.
Oggi la scena politica, bisogna dirlo con chiarezza, è dominata da faccendieri, avventurieri, corrotti, despoti in miniatura e cortigiani che antepongono sistematicamente gli interessi personali a quelli della collettività e per i quali l’arte della menzogna è divenuta uno sorta di seconda natura. Da qui l’imperversare del populismo, che asseconda le pulsioni egoistiche e le paure del mondo piccolo-borghese. Lo stesso ricorso ai principi della democrazia, in un quadro segnato dall’uso strumentale dei valori liberaldemocratici, diviene fuorviante. Ci si sente legittimati, al di là delle norme penali e costituzionali, dal consenso elettorale (tirannia della maggioranza?) alla gestione privatistica della cosa pubblica.
La situazione italiana non può non destare preoccupazione; e l’attuale periodo è certamente uno dei più bui della storia repubblicana, se pensiamo a personaggi del passato della statura di De Gasperi, Dossetti, La Pira, Zaccagnini etc., e li confrontiamo con quelli che adesso occupano, grazie al meccanismo della cooptazione, la scena politico-istituzionale.
Tuttavia il giudizio sulla situazione va portato ad un livello più profondo, che riguarda il rapporto tra fede e politica. Vi sono infatti tanti cattolici, anche con posizioni di rilievo all’interno dell’area ecclesiale, che ritengono la fede cristiana perfettamente compatibile con una posizione ideologica che celebra i fasti del libero mercato e che considera i comportamenti privati della classe di governo irrilevanti ai fini delle proprie opzioni elettorali, appoggiandosi talvolta al becero criterio del male minore. Detto senza mezzi termini. Può un cristiano votare per gli apologeti di un sistema economico-finanziario che favorisce le disuguaglianze sociali? Può un cristiano votare per quei politici la cui moralità coniugale è più che dubbia? Ai tanti cattolici liberali e, in modo particolare, a quelli cresciuti nel sottobosco clientelare della sempiterna partitocrazia e che ora pontificano dall’alto delle loro cariche istituzionali, si consiglia la lettura di un libro tradotto recentemente in italiano, dal titolo intrigante: Il Capitale. Una critica cristiana alle ragioni del mercato (Rizzoli 2009). L’autore è Reinhard Marx, che non è un pericoloso sovversivo o un discendente di Karl Marx, ma è l’arcivescovo di Monaco e Frisinga. L’attenta lettura di questo libro ci consente di afferrare alcuni aspetti essenziali della dottrina sociale della Chiesa, ma può portarci ad essere più guardinghi verso una certa parte dell’episcopato italiano che in questi anni, per amore forse del dialogo a tutti i costi con il legislatore sul terreno bioetico, non ha speso nemmeno una parola per denunciare le degenerazioni della politica carismatica e gli effetti perversi dell’economia di mercato.
AMEDEO GUERRIERE

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